Il Gigante Nero

 

Dove muore il Cielo

Nascono mille fiammelle,

Mille pozzi nell’infinito…

Da cui attingere in eterno!

 

Il volto di una donna apparve sul video e una voce parlò al microfono:

            “Ciao, mamma.”, disse il tenente Bolcan.

            “Ciao, Lisa!”

            “Avevo proprio voglia di vederti; è passato un mucchio di tempo da quando chiacchieravamo come due amiche.”

            “Già, povera piccola, ne hai fatta di strada!”

Il tenente Bolcan sorrise:

            “Non mi posso lamentare.”

            “Ho saputo che partirai per il centro della Galassia.”

            “Ah, sì. Eseguiremo delle ricerche sul Buco Nero.”

            “E’ pericoloso?”

            “Faremo attenzione, te lo prometto!”

            “Potrebbe essere l’ultima volta che ci vediamo.”

            “Non dirlo neanche.”, replicò il tenente.

            “So che sei felice, che sei circondata da gente amica e per questo mi sento rassicurata.”

            “A presto, mamma.”

            La figura scomparve. Il tenente Bolcan si alzò dalla sedia a sospensione e si diresse verso il Centro Commutazione. Qualcuno la chiamò dal corridoio.

            “Bolcan! Il Capitano ha chiesto di te.”

            “Sì, grazie, Frannett.”

            La porta centrale si aprì silenziosamente, mentre le luci del tappeto portante a supporto magnetico lampeggiavano ad indicare la loro disponibilità al trasporto. Appoggiò i piedi sui cerchi rossi: cominciò a sollevarsi lentamente da terra, a prendere velocità... sempre più veloce... i livelli dell’astronave sfrecciavano davanti ai suoi occhi. Si ritrovò in un baleno nella Sala Terminal.

            “Ecco i programmi che mi ha chiesto, capitano Trevor.”

            “Grazie, Bolcan, inserisca i dati per la partenza.”

            La ragazza si sedette presso una delle postazioni, inserì il dischetto dei dati in suo possesso e avviò il programma principale, dando avvio al processo di definizione dei codici operativi primari necessari per l’accensione dei motori.

Le sue dita scivolavano sulla tastiera frenetiche e precise e quando il segnale giallo apparve sullo schermo centrale, il Capitano diede l’ordine per la partenza immediata. Gli altoparlanti fecero l’annuncio in tutte le sale, mentre i corridoi brulicavano di agenti addetti al servizio di sicurezza e di operai del servizio manutenzione.

            Intanto le enormi braccia meccaniche si staccarono dalla piattaforma spaziale reinserendosi nella complessa struttura, mentre i motori si accendevano silenziosamente. L’astronave veniva trasformandosi facendo scorrere le varie componenti meccaniche le une sulle altre, assumendo una forma adatta ai voli iperspaziali, aggraziata e robusta nello stesso tempo.

La Cygnus spiegò le sue ali nel buio, diventando una perla di infinito splendore e leggerezza e all’improvviso il cielo esplose in una miriade di colori, mentre la nave, come una freccia lanciata nell’eternità, si addentrava nei più profondi meandri dell’iperspazio.

            Si rimaterializzò nei pressi della stazione orbitale PL21.

            Mentre le manovre di rendez-vous erano in corso, il tenente Bolcan premette un pulsante ed entrò nella propria cabina; nella sala Terminal non c’era più bisogno di lei.

Sfiorò un comando con le dita facendo sollevare il pannello protettivo: quella era la sua finestra sull’universo, il suo segreto ed intimo contatto con la natura. Vi aveva ammirato stelle, galassie, pianeti dai colori indescrivibili, fantastiche nubi dai contorni che ricordavano personaggi della mitologia terrestre; era il suo paradiso, il suo vivere e far parte dell’Assoluto.

            Niente di tutto questo si poteva intravedere, ora; c’era il buio più profondo, l’oscurità più completa: né una stella in cielo, né la più debole luce.

            Quello era Prime, il primo, il Gigante nero che si nasconde, solitario, al centro della nostra galassia.

            Bolcan rimase affascinata e sconvolta da quella presenza. Non poteva vederlo o sentirlo, ma sapeva che era lì, imperscrutabile e misterioso, come una forza soprannaturale congelata dall’enorme distanza. Infatti, PL21 era abbastanza lontana da non esserne risucchiata.

            Pensò a quali mostruose conseguenze sarebbe andato incontro quell’incauto viaggiatore che si fosse avvicinato al Gigante per ancora qualche migliaio di parsec… O forse avrebbe raggiunto il paradiso… chi poteva saperlo?

            Bolcan abbozzò un sorriso uscendo dalla propria cabina.

            Le Cygnus si era già appoggiata delicatamente sulla piattaforma spaziale; diversi ascensori semoventi si elevarono per raggiungere l’astronave.

            Nell’atrio, dove venivano ricevuti gli ospiti, c’erano il capitano Trevor e alcuni sottoufficiali. Il tenente Bolcan li raggiunse in quel momento.

            Trevor sorrise cordialmente quando vide due persone uscire dall’ascensore.

            “Benvenuti!”, esclamò. Poi, rivolgendosi agli altri, “Vi presento Sid Fergusson, eminente fisico e studioso dei Buchi neri; e inoltre il signor Brian Fonda.”

            A quel punto intervenne il tenente Bolcan:

            “Immagino che non ci sia alcuna relazione con i famosi Fonda attori cinematografici.”

            “Nient’affatto mia cara”, disse il Capitano, “il signor Brian Fonda è proprio un loro discendente, oltre che grande appassionato di viaggi spaziali.”

            La ragazza sembrò sorpresa, mentre Brian le regalò un sorriso degno delle migliori reclame dei dentifrici.

            Trevor fece accompagnare gli ospiti nei rispettivi alloggi dando appuntamento al proprio tavolo per l’ora di pranzo. Bolcan si avviò verso uno dei corridoi che conducevano al Centro Commutazione, quando udì una voce alla proprie spalle:

            “Bolcan, aspetti!”

            Quel tipo sorridente e presuntuoso l’aveva chiamata.

            “Spero di non importunarla! E’ ancora sorpresa per il mio nome?”

            “No di certo.”, rispose freddamente.

            “Posso restare con lei?”

            “Mi dispiace, ma sono molto occupata. Spero di rivederla presto, signor Fonda.”

            Si allontanò frettolosamente.

           

 

                                                                       (2)

 

            L’astronave Cygnus aveva da poco abbandonato la stazione orbitale e i membri dell’equipaggio si erano riuniti per il pranzo in uno dei più grandi e accoglienti saloni. Le pareti erano lussuosamente ricoperte da tende e specchi, c’erano quadri d’ogni epoca, visori tridimensionali e diffusori acustici per rendere l’ambiente quanto più confortevole possibile. Potenti filtri rendevano l’aria priva di qualsiasi odore e pura come quella di montagna.

            Il tavolo del Capitano si trovava al centro della sala e gli ospiti erano già seduti alla sua destra: il signor Fergusson vicino ai tecnici e agli scienziati con i quali discuteva animatamente, mentre il sorridente Brian Fonda si trovava, guarda caso, proprio vicino al tenente Bolcan.

            Ad un tratto fu richiesto il silenzio; Trevor parlò al pubblico dei presenti:

            “Signori, ho l’onore di annunciarvi qualcosa di cui la Flotta Stellare è molto orgogliosa: per la prima volta nella storia dell’umanità l’astronave Cygnus si avventurerà nei pressi del Gigante nero, con a bordo uno speciale scudo antigravità di cui faremo il collaudo!”

            Ci fu un lungo applauso.

            “Ma… lascio la parola al signor Sid Fergusson, che potrà darvi maggiori dettagli.”

            Il fisico ringraziò il Capitano e cominciò a parlare:

            “Un Buco Nero come voi certamente sapete, è lo stadio finale della vita di una stella di grosse dimensioni che, in seguito all’esaurimento del combustibile nucleare, implode su se stessa e non riuscendo a fermarsi, raggiunge una densità quasi infinita. Esso è in grado di catturare, con la sua forza di gravità, qualsiasi cosa gli si avvicini, dato che racchiude in uno spazio minimo un’elevata quantità di materia.

            Nel centro della nostra galassia ce n’è uno di enormi dimensioni: Prime; pensate, che la sua massa è un miliardo di volte quella del nostro sole e continua ad ingrandirsi fagocitando pianeti e stelle a ritmo impressionante!

            Da pochi mesi abbiamo messo a punto uno scudo in grado di contrastare, almeno in parte, l’enorme forza gravitazionale; purtroppo non è stato ancora perfezionato, ma – sia ben chiaro – anche se funzionasse a pieno regime, dovremo fare attenzione a non attraversare l’Orizzonte degli eventi, altrimenti non potremo più tornare indietro, con o senza scudo.”

            Qualcuno dal fondo della sala chiese la parola:

            “Prego il signor Fergusson di spiegare a tutti i non esperti cos’è l’Orizzonte degli eventi!”

            Lo scienziato annuì cortesemente e continuò a parlare:

            “L’Orizzonte degli eventi è quel limite al di là del quale la velocità necessaria per sfuggire a questo enorme campo gravitazionale è maggiore di quella della luce. Di conseguenza nessun oggetto che abbia varcato quella soglia potrà mai ritornare; la luce stessa non può riuscirci, quindi nessuno sa con precisione quali fenomeni accadano nel suo interno.

            Prime ha l’Orizzonte degli eventi a circa tre milioni di miliardi di chilometri dal suo centro, per cui non dovremo avvicinarci più di tanto, altrimenti neppure lo scudo sarebbe di aiuto!”

            “E’ possibile sopravvivere una volta superato tale limite?”, chiese il tenente Bolcan.

            “Se il Buco Nero è del tipo fisso non c’è scampo: prima o poi si è inesorabilmente attirati verso il centro dove le mostruose forze gravitazionali ci schiaccerebbero; lo scudo potrebbe attenuare queste forze, ma, arrivati in fondo, non ci eviterebbe una sicura morte.

            Se invece è del tipo ruotante, esiste la possibilità che, una volta entrati, si riesca a penetrare nel tunnel del tempo. C’è addirittura chi dice che si possa passare in un universo parallelo, ma queste sono tutte supposizioni: nessuno potrebbe mai tornare sulla Terra per raccontare quello che ha visto!”

            Brian Fonda alzò un braccio per porre una domanda all’eminente fisico:

            “Vorrei sapere se il Gigante nero è del tipo fisso o ruotante.”

            “Ruotante”, rispose Fergusson fermamente. “Questo è l’unico dato certo che abbiamo; la sua velocità angolare è stata misurata con notevole precisione.”

            In quell’attimo entrò un tecnico dirigendosi di corsa verso il Capitano. Questi chiamò Bolcan e gli altri con sé allontanandosi precipitosamente.

            Ovunque scoppiò il putiferio.

            I membri del servizio di sicurezza operavano a pieno regime per evitare incidenti. Nella sala Terminal c’era molta confusione: gli addetti ai computer lavoravano freneticamente, mentre gli ufficiali discutevano con Trevor sul da farsi. Erano in pochi a sapere cosa in realtà fosse accaduto.

            Ad un tratto il Capitano prese il microfono e cominciò a parlare, scandendo le parole ad una ad una:

            “A tutto l’equipaggio. Qui è il capitano Trevor.”

La sua voce raggiunse ogni locale dell’astronave.

            “Sono molto addolorato…”, disse, “ma è mio dovere informarvi che la nave spaziale Cygnus ha oltrepassato l’Orizzonte degli eventi… da otto minuti e quarantatrè secondi.”

            Non ci fu un’immediata reazione; era difficile riuscire a comprendere la reale portata di un simile evento. Non era lo stesso che se fosse scoppiato un reattore. Eppure le conseguenze sarebbero state ancora più catastrofiche.

            “Non sappiamo come ciò possa essere accaduto”, continuò Trevor, “tuttavia vi invito a restare calmi, non c’è pericolo immediato.”

            Spense il microfono e poi si rivolse agli ufficiali:

            “Cercate Sid Fergusson, soltanto lui può dirci cosa effettivamente è successo!”

            Intanto i passeggeri cominciarono a chiamare il Ponte di comando chiedendo maggiori informazioni.

            “Signor Capitano!”, urlò il tenente Frannett.

            “Cosa c’è?”

            “La rotta sta subendo delle inspiegabili variazioni: sono molto più forti del previsto.”

            “Cerca di mantenerla costante, non possiamo fare niente finché non conosceremo meglio la situazione.”

            Finalmente entrò in sala Sid Fergusson accompagnato da alcuni scienziati. Gli vennero immediatamente mostrati tutti i dati a disposizione.

            “Può dirci cos’è accaduto?”, chiese Trevor.

            “Probabilmente Prime ha inghiottito nelle ultime ore alcuni ammassi stellari, ingrandendosi oltre ogni previsione. Tutti i dati mostrano un notevole incremento della sua massa e di conseguenza un’estensione del suo orizzonte degli eventi.”

            “Sta divorando, a poco a poco, la nostra galassia!”, disse Frannett.

            “Ci ha già divorato”, osservò il Capitano, “e non potremo mai più uscirne!”

            In quel momento entrò uno scienziato con un disco laser in mano. Fergusson lo invitò ad inserire il disco nel lettore del computer.

            “Come voi sapete, è impossibile fotografare un Buco Nero, dato che non emette alcun tipo di radiazione elettromagnetica. Tuttavia, grazie alla collaborazione del professor Mifugi, abbiamo messo a punto un apparecchio in grado di captare le onde gravitazionali emanate da Prime.”

            Sullo schermo gigante erano apparse le prime immagini.

            Sul fondo scuro risaltava un anello rosso fuoco, circondato da un enorme alone verdastro. Vicino al bordo dell’anello brillavano alcuni minuscoli puntini azzurri, probabilmente stelle in procinto di essere inghiottite.

            Sid Fergusson osservò con interesse le immagini trasmesse dal computer.

            “Grazie, professor Mifugi. Il lavoro è ottimo e conferma le mie supposizioni.”

            “Cosa significa?”, chiese l’ufficiale di rotta.

            “Vi ho già spiegato”, disse Fergusson, “che Prime è un Buco Nero ruotante; di conseguenza la materia catturata non viene stipata nel centro, bensì in un anello di gigantesche dimensioni. In esso la forza di gravità raggiunge valori infiniti e tutto ciò che vi finisce porta ad un suo progressivo allargamento: in termini scientifici esso viene chiamato singolarità.”

            “C’è la possibilità di non essere distrutti?”, chiese il Capitano.

            “In realtà, signor Trevor, Prime è così grande che passerebbero secoli prima che la nostra nave giunga nei pressi dell’anello; è per questo che è stato chiamato il Gigante nero. Tuttavia, già molto prima di arrivarci, le forze mareali distruggerebbero la Cygnus, dilaniando i nostri corpi!

C’è un solo posto in cui la gravità si potrebbe annullare: il centro dell’anello stesso!”

            “Come possiamo entrarci evitando l’enorme attrazione?”, chiese Frannett.

            “Basterà inserire una qualsiasi rotta che non sia tangenziale al piano equatoriale di Prime, poi potremmo fare affidamento sui nuovi scudi.”

            “Benissimo”, disse il capitano Trevor, “darò subito l’ordine perché si eseguano le vostre istruzioni.”

            I dati furono immediatamente inseriti nel computer, mentre Fergusson e gli altri scienziati ritornarono nel loro laboratorio. La situazione andò rapidamente normalizzandosi e tutto il personale risultò più tranquillo.

            “Tenente Bolcan!”, disse Trevor.

            “Si, signore.”

            “Potete andare, vedrò di farvi sostituire!”

            “Grazie, Capitano.”

            La ragazza salì sul tappeto magnetico e si fermò al livello quattro, dov’era la sua cabina.

            Entrò e si sedette sul bordo del letto, sfiorando il comando del pannello protettivo. Lo schermo era di nuovo completamente nero: quello era il cuore del Gigante Prime, dove lo spazio inesorabilmente procede verso un fine sconosciuto, prendendo le veci del tempo nelle arcane profondità dell’universo stesso.

            Bolcan si sentì come risucchiata da quella strana presenza; avvertiva un velo impalpabile che, lentamente, la spingeva verso l’ignoto. Una forza misteriosa la stava attirando, mentre il buio la stringeva a sé: si sentì circondata dal vuoto, perduta in un inferno di sconvolgimenti emotivi e consumata fino al completo esaurimento delle proprie energie vitali; non riusciva più a parlare; non riusciva più a muoversi… una mano emerse dalle tenebre per afferrarla…

            Un grido acuto pervase l’aria.

            Qualcuno la chiamò dall’esterno:

            “Tutto bene?”

            “Sì”, riuscì a dire la ragazza, “grazie!”

            Bolcan era sconvolta. Il suo viso era segnato dalle lacrime miste a sudore.

            “Mamma”, sussurrò, “non ti rivedrò più!”

            E in quell’attimo il volto della madre apparve immerso nel buio dello schermo, come d’incanto.

 

            “E’ pericoloso?”

            “Faremo attenzione, te lo prometto!”

            “Potrebbe essere l’ultima volta che ci vediamo…”

 

            Lisa pianse. I suoi occhi gonfi erano irrorati dal sangue, ma quelle lacrime sciolsero tutte le angosce che la tormentavano…

            Suonarono alla porta. Bolcan accese il videocitofono asciugando il viso: era quel rompiscatole di Brian Fonda.

            “Cosa vuoi?”, chiese la ragazza.

            “Potrei parlarti?”

            “Non ora, un’altra volta.”

            Bolcan spense il videocitofono. Ci pensò un secondo…

            “Aspetta!”, disse in gran fretta prima che Brian se ne andasse.

            “Cosa c’è?”

            “Entra, ti prego.”

            La porta della cabina si aprì e Fonda entrò sedendosi accanto a lei.

            “Cosa ti è successo?”, domandò vedendo gli occhi arrossati.

            Bolcan nervosamente bevve un sorso d’acqua dal suo bicchiere.

            “Ho fatto un brutto sogno… ma adesso sto bene!”, appoggiò il bicchiere sul tavolo tornando a sedersi. “E’ questa storia… i miei affetti, i sentimenti più cari… Ha sconvolto tutto!”, sorrise amaramente.

            “Credimi”, intervenne Brian, “è difficile accettare una nuova realtà, un nuovo modo di vedere le cose; il passato ci appartiene, ma non dobbiamo lasciarci sopraffare: noi viviamo ora, il presente è quello che conta. Vedrai che in qualche modo ce la caveremo!”

            Lei lo guardò intensamente negli occhi.

            “Avevo proprio bisogno… del tuo ottimismo…”

            Fonda sorrise.

            Bolcan si avvicinò alla sua bocca e lo baciò.

                                                                       (3)

 

            Nell’astronave si udì il suono dell’allarme generale. Lungo i corridoi migliaia di luci lampeggiavano e gli agenti del servizio di sicurezza erano di nuovo in piena attività. Nella sala Terminal, come al solito, c’era un grande fermento: operai e tecnici entravano ed uscivano ripetutamente e gli ufficiali discutevano con il Capitano. Lo scienziato Sid Fergusson si agitava animatamente:

            “Vi ripeto che siamo in grave pericolo”, disse, “la rotta della Cygnus è completamente sbagliata; dovremo correggerla subito o sarà troppo tardi!”

            “Signor Fergusson”, rispose il capitano Trevor, “abbiamo considerato i dati che voi stessi ci avete fornito…”

            “Non è possibile!”

            “Guardi, sembra che la nave non risponda secondo le sue previsioni.”

            Lo scienziato esaminò i dati che riapparivano sullo schermo.

            “Forse abbiamo sottostimato l’angolo di incidenza iniziale!”

            “Cosa possiamo fare?”, chiese il tenente Frannett.

            “Temo che non ci siano speranze; a questo punto ci è consentita una sola direzione.”

            “Ma… finiremo addosso all’anello!”

            “Purtroppo non si può evitare”, ammise amaramente Fergusson, “non è possibile scavalcare la singolarità.”

            “Un salto!”, esclamò il tenente Bolcan. “Potremmo usare l’iperspazio!”

            Rimasero per un attimo senza parole.

            “Assurdo! Non è mai stato provato nei pressi di un così forte campo gravitazionale, il minimo errore e saremo disintegrati!”, disse Frannett.

            “Oppure”, intervenne Fergusson, “potrebbe portarci in brevissimo tempo dove vogliamo noi: al centro dell’anello!”

            “L’idea non è male”, disse il Capitano, “ma comporta molti rischi; credo che la decisione debba essere presa dall’intero equipaggio.”

            I presenti furono d’accordo. Venne indetta una specie di votazione tra i settecento passeggeri della Cygnus: circa l’ottanta per cento decise a favore dell’iperspazio; dopo tutto era meglio rischiare piuttosto che trascorrere la vita aspettando una distruzione inevitabile!

            Il capitano Trevor prese atto di ciò che era stato deciso: fece attivare gli scudi e l’equipaggio fu pregato di prendere le precauzioni necessarie per evitare incidenti di qualsiasi genere.

            Quando tutti i preparativi furono ultimati e i dati inseriti nel computer, Frannett ricevette l’autorizzazione a procedere: l’astronave scomparve come risucchiata da una invisibile entità.

            Il viaggio fu istantaneo; si ritrovarono catapultati in un vortice senza fine che scuoteva quell’esile imbarcazione sbattendola da ogni parte. Il Gigante si era forse adirato con chi aveva osato sfidarlo?

            L’equipaggio guardava con incredulità mista a timore una tale manifestazione di potenza da parte delle forze della natura. Solo il signor Fergusson era in preda alla più completa euforia:

            “E’ il tunnel del tempo! Esiste! Lo stiamo attraversando!”, gridava.

            Ma nessuno sembrava ascoltarlo; tutti gli sguardi erano vuoti e privi di espressione: Frannett, il Capitano, l’intero equipaggio sembravano come incantati.

            Fuori dell’astronave gli eventi imperversavano. Onde termiche di violenza inaudita minacciavano la resistenza dello scafo; alcune torrette di posizione furono distrutte, il termoreattore e parecchi deflettori seriamente danneggiati nonostante la protezione dello scudo.

            Bolcan si ritrovò a vagare per le sale del Centro Controllo.

            I grossi sobbalzi le impedivano una normale andatura, ma ciò non sembrava ostacolarla. Attraversò i corridoi del settimo livello, dirigendosi verso l’infermeria. Ad un tratto, voltando un angolo, vide qualcuno.

            Si nascose senza farsi notare.

            Era Fonda. C’era un altro con lui.

Bolcan si chiese chi potesse essere e li sentì ridacchiare come due vecchi amici.

            Era sicura! Quella era la voce di una donna.

            Cercò di spiarli senza essere vista: stavano baciandosi!

            Fu colta da un momento di rabbia e, decisa a tutto, si diresse verso di loro; scansò Fonda con uno strattone e vide il volto di quella donna. Bolcan rimase per un secondo come impietrita… poi si sentì mancare: quello era il proprio volto!

            La voragine degli eventi cominciava a coinvolgere chiunque nell’astronave; le immagini e le sensazioni si moltiplicavano in un crescendo senza fine; passato, presente e futuro erano una sola potente entità che stava mescolando le proprie carte: inarrestabile e invincibile; lo spazio-tempo fondeva le proprie quattro dimensioni in un unico continuum temporale. Poi, tutto tacque…

 

 

                                                                       (4)

 

            La Cygnus era tornata a vagare tranquilla e silenziosa come sempre, lo spazio e il tempo avevano ripreso la loro consueta forma, mentre l’equipaggio cominciava a riprendere conoscenza.

            Quel luogo era quanto di più incantevole si potesse trovare nell’universo intero: l’emisfero australe di quella caratteristica volta celeste era completamente rosso, all’orizzonte si distinguevano nettamente i bordi dell’anello, che in quella prospettiva aveva assunto la forma di un gigantesco cono fiammante, all’interno del quale la nave si stava addentrando.

            Il capitano Trevor e gli altri ufficiali ripresero il controllo della situazione. Potete immaginare la faccia di Sid Fergusson quando poté ammirare quello spettacolo affascinante: l’interno del cono era caratterizzato da numerose striature longitudinali dall’origine misteriosa che avrebbero fatto impazzire qualsiasi astronomo sulla Terra!

            La visione diventò straordinaria quando apparve sullo schermo un ammasso di stelle a forma di croce! Essa era il simbolo del traguardo, una sorta di magico trofeo che l’uomo stava faticosamente conquistando… Quel cielo rubicondo e vellutato meritava un simile e siffatto gioiello!

            “Dove siamo?”, chiese Trevor.

            “E’ la Terra di nessuno”, spiegò Fergusson, “il tunnel del tempo ci ha scaraventati in questa zona che ha le stesse caratteristiche del nostro mondo, ma è solo una porta di passaggio.

Essa è collegata a due universi paralleli, quello da cui proveniamo e un altro, del quale non sappiamo nulla.”

            Il computer dell’astronave segnalò in quel momento la presenza di un oggetto estraneo a portata di sonda.

            “L’ho localizzato”, disse Frannett, “ma non so cosa sia. Ci stiamo avvicinando alla velocità di due miglia al secondo, dobbiamo cambiare rotta?”

            “No”, rispose il Capitano, “voglio scoprire cos’è.”

            In quel momento Bolcan entrò nella sala Terminal accompagnata da Fonda.

            “Tutto a posto, tenente Bolcan?”

            “Sì, grazie signore; vorrei riprendere il mio lavoro, ora.” Si accomodò davanti alla tastiera pensando a quanto aveva visto: era solo un piccolo scorcio di futuro… insieme a Brian.

            Intanto, sullo schermo gigante, qualcosa stava prendendo forma.

            “Che diavolo è?”, chiese Fonda.

            La domanda rimase senza risposta. Gli ufficiali abbandonarono il proprio posto per recarsi davanti allo schermo centrale a grande definizione.

            “Sembra fatto di… gelatina!”

            L’immagine stava ingrandendosi a vista d’occhio; nonostante ciò, nessuno riusciva a capire cosa fosse.

            Un’enorme sfera di materiale trasparente si presentò davanti ai loro occhi. Nella zona equatoriale un estesissimo setto opaco divideva il gigantesco solido in due emisferi perfettamente uguali; all’interno di essi due imponenti costruzioni sembravano galleggiare nell’aria: si trattava di una moltitudine di cubi sovrapposti, da ciascuno dei quali spuntava una coppia di antenne orientate verso lo spazio esterno. C’erano inoltre due enormi hangar, o qualcosa di simile, adagiati sul setto divisorio l’uno contro l’altro.

            La Cygnus rallentò la propria corsa: il Capitano pensò bene di fermarsi a debita distanza per studiare meglio la strana costruzione. Le dimensioni dovevano essere quelle di un piccolo planetoide, anche se quell’oggetto non aveva certamente origine naturale. Sulla superficie della sfera c’erano come dei grossi oblò e il setto divisorio sembrava ricoperto da un folto strato di sostanze violacee.

            Ad un tratto l’hangar superiore fu visto muoversi. Trevor reagì immediatamente.

            “Alzate tutti gli scudi di difesa!”

            L’ordine fu eseguito. Intanto dall’hangar uscirono tre strani oggetti volanti.

            “Sono… sono navi Aliene!”

            Nessuno finora aveva avuto il coraggio di pronunciare quella parola: non potevano certo aspettarsi che ci fosse vita in quelle remote regioni al di fuori di ogni esperienza!

            Le tre singolari navi spaziali si avvicinarono ad uno degli oblò che intanto si era automaticamente aperto e, ad una ad una, ci passarono attraverso.

            “Dobbiamo cercare di comunicare con loro e dire che non abbiamo cattive intenzioni!”

            Fu chiamato l’ufficiale addetto al traduttore computerizzato e si cercò di stabilire un contatto.

            “Ecco! Hanno spedito un messaggio, mettete in funzione il traduttore!”

            Sullo schermo apparve la scritta:

            “Benvenuti a Eme! Noi siamo i Deloh, dal pianeta Saris IV di Andromeda. chi siete voi?”

Nella sala Terminal ci fu un grido di gioia.

            “Sono amici! Evviva!”

            Si affrettarono a rispedire un messaggio.

            Gli abitanti di Saris IV erano umanoidi abbastanza noti sulla Terra: avevano stilato un importante trattato commerciale che durava da parecchi anni, portando vantaggi economici ad entrambe le parti. Tecnologicamente erano molto più avanzati dei terrestri, molto gelosi della loro cultura e delle loro scoperte scientifiche che custodivano segretamente; ma era la prima volta che si veniva in contatto con Delohniani che non fossero quelli dell’ambasciata.

            Probabilmente Eme era stata costruita dai pionieri di qualche nave aliena che malauguratamente era finita su Prime; sfruttando l’energia della Croce di stelle erano riusciti a colonizzare la terra di nessuno.

            L’equipaggio della Cygnus era letteralmente fuori testa, in special modo quando tutti ricevettero l’invito a trasferirsi su Eme: finalmente avevano riacquistato un nuovo mondo, una nuova patria!

            Le navette di trasferimento dell’equipaggio erano quasi pronte: un primo gruppo di trenta persone si sarebbe recato in visita, il tenente Bolcan e Brian Fonda erano tra questi…

            Ora si trovavano in cabina, mano nella mano, avevano sfiorato il pulsante del pannello protettivo e stavano ammirando quel cielo metà infuocato e metà buio.

            Lisa guardò Brian nel profondo degli occhi: il futuro le aveva mostrato l’uomo con il quale avrebbe diviso gioie, speranze e dolori. Lo spettacolo sensazionale di cui ora erano partecipi li attirava a sé come dei figli verso il focolare domestico. Sentivano che il loro destino era legato alla presenza di quel cono sovrumano e al fortissimo desiderio di attraversare quelle magiche porte del tempo.

            Mille domande si formarono nella loro mente…

            Un altro universo li attendeva.